Dove è finito il signor B? 4 – Cospirazione

Ormai era l’alba. Un’alba grigia e piovigginosa che non riusciva a penetrare i pesanti tendaggi delle finestre ma che, in qualche modo, segnava i visi dei sette uomini seduti a una estremità del grande tavolo al centro del salone, stretti gli uni agli altri quasi a farsi coraggio. Tutte le luci erano accese e si riverberavano sui cristalli delle credenze, sui mobili lucidissimi, sul nero del pianoforte, sulle specchiere e sui quadri.
In piedi vicino alla porta quattro giovani vestiti rigorosamente di nero, immobili, le facce senza espressione.
Dei sette uomini seduti, solo Gianni era correttamente vestito, la cravatta bene annodata, il viso disteso a mostrare una tranquilla sicurezza. Tutti gli altri, chi in pigiama, chi in vestaglia, chi con la camicia fuori dai pantaloni, pallidi, sudati, smarriti, gli occhi bassi, sembravano un manipolo di condannati a morte in attesa dell’esecuzione.
“Gianni! Sei seduto sulla sedia di….”
“E allora?” glaciale.
“Ma… No, no, niente.”
“Dobbiamo tenere la testa a posto, altrimenti salta tutto.”
Un mormorio a metà fra la preghiera e l’assenso.
“Per prima cosa, nessuno, dico nessuno, dovrà sapere nulla. Decideremo con calma quando e come dare la notizia. Al momento faremo filtrare che lui ha avuto un lieve malessere per il troppo lavoro e dovrà osservare un riposo assoluto per qualche giorno…”
“Tecnicamente non si può dire che sia morto. Secondo le leggi vigenti la morte deve essere certificata da un’autorità competente. Quindi lui, ope legis, non è morto. Ergo è vivo.”
“Niccolò, non cominciare con le solite stronzate: ora ci dirai che, tecnicamente, lui è solo l’utilizzatore finale della pallottola…”
“In effetti…”
“Basta!”
“E… la ragazza?”
“Per ora è sotto sedativi: voglio interrogarla a fondo per sapere quello che ha visto o che ha sentito… Poi provvederemo a sistemarla.”
“E Emilio? Quello ci chiederà la luna, per non parlare.”
“Quello non ci chiederà nulla. Ha avuto un piccolo incidente…”
“Un incidente?”
“Sì, Angelino, un incidente definitivo.”
Un brivido sembrò increspare i visi già sconvolti.
“I nostri, ehm, assistenti” disse Ignazio Benito accennando con la testa ai quattro uomini impalati vicino alla porta.
“Loro sono a posto, lo sai. Non vedono, non sentono, non parlano. Ubbidiscono soltanto.”
“Ma lui… lui dov’è, ora?”
“Ci ha pensato Guido, tutto sistemato.”
“L’ho messo nella cella frigorifera, giù in cantina. Sta benissimo, gli ho anche rimesso il parrucchino…”
“E… ce l’ha sempre duro?”
“Molto più del tuo, Umberto.”
“Vogliamo tornare alle cose serie, per favore?” Gianni picchiettava nervosamente le dita sul tavolo.
“Dobbiamo avvertire gli amici… Marcello, pensaci tu, senza tanti particolari…”
“Tranquillo, loro queste cose le capiscono al volo.”
“Ma Sandro… dov’è Sandro?”
“Non sarà anche lui…”
“Ma no. Sta dormendo e non lo sveglierà niente fino a mezzogiorno. Lo sapete, da quando ha cominciato a credersi un poeta è sotto cura. Il medico gli ha prescritto un pacco di sonniferi di quelli pesanti e gli ha imposto di non saltare neanche una sera…”
“Così lui ha un alibi…”
“Un alibi?”
“Ma che dici!”
“Come se noi…”
“Già, uno di noi…”
“Basta!” Gianni aveva appena alzato il tono di voce, ma tutti si bloccarono di colpo. “E’ evidente che uno di noi gli ha sparato, qui ci siamo solo noi, il castello è come una fortezza impenetrabile e anche ben sorvegliato all’esterno.”
“Sì, ma…”
“Ma questo per ora non ha nessuna importanza. Ci penseremo a tempo debito. Fuori tutto deve continuare come prima. Domani, anzi oggi pomeriggio, c’è il consiglio. Lo presiederò io, l’ordine del giorno resta quello stabilito. Ora… ma che succede?”
La porta si era spalancata sotto una spinta violenta. Sandro, in camicia da notte e con la papalina in testa, la faccia stravolta, si precipitò verso il tavolo.
“Lui… lui è morto! Gli hanno sparato! E’ un martire! Santo subito!”
“Calmati, Sandro, è vero, ma tu come fai a saperlo? Non stavi dormendo? Non hai preso le tue pasticchette?”
“Sì, sì, dormivo… Lui mi è apparso in sogno, bello come un angelo, aveva pure l’aureola… mi ha detto: Sandro, sono morto, mi hanno ucciso, io vado lassù, addio… addio…” Si buttò su una sedia, la testa poggiata sulle braccia, singhiozzando disperato.
“E forse… sono stato io…”
“Tu!”
“Ma che dici!”
“Questo è partito del tutto!”
“No, no, ascoltatemi. Sul tavolo vicino al letto ho trovato questo foglio, una poesia per lui, è la mia calligrafia, ma non ricordo di averla scritta… Leggete, leggete, non è una specie di confessione?”
“Dammi qua” disse Niccolò, e cominciò a leggere ad alta voce: “A Silvio. Vita assaporata/ Vita preceduta/ Vita inseguita/ Vita amata/ Vita vitale/ Vita ritrovata/ Vita splendente/ Vita disvelata/ Vita nova…”
“Vita nova, capite, vita nova” proruppe Sandro fra i singhiozzi. “Vita nova, vuol dire l’altra vita, quella vera, il Paradiso…”
“Ma tu ce l’hai una pistola?”
“N… no.”
“Sai sparare?”
“No!”
“E allora?”
“Allora non sono stato io… siete proprio sicuri?”
“Sicuri.”
“Ma lui è morto davvero?”
“E’ morto.”
“ E noi… noi… come faremo se Silvio non c’é?”

continua ==>

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