Dove è finito il signor B? 8 – La Digos

Mi portarono per chilometri di corridoi, scale, stanzette, strettoie, angoli e cancellate. Io, malconcio e rintronato dopo la notte passata in cella, scortato da quattro cristoni in divisa, cercavo di darmi un contegno canticchiando fra me e me tutto il repertorio di canti, come si diceva una volta, rivoluzionari. Finalmente ci fermammo davanti a una porta, e dopo aver bussato entrammo senza aspettare risposta, due avanti a me e due dietro. La stanza era grande, squallida e opprimente, due armadi metallici su una parete, sulla parete opposta un tavolinetto con un antiquato computer dietro cui spuntava il viso pacioso di un agente piccolo e grasso, una grande scrivania sulla parete di fondo e, dietro, due finestroni chiusi da sbarre contro un cielo grigio. Perlomeno, pensai, non mi faranno fare la fine di Pinelli. Seduto alla scrivania una specie di gigante correttamente vestito di grigio con tanto di cravatta in tinta, con due mani enormi appoggiate sul piano dove erano anche tre telefoni e, in un angolo, un faldone debitamente polveroso. Niente foto di famiglia, niente portacenere, niente cancelleria. Mi venne subito in mente una cosa che avevo letto tempo fa: più è sgombra la scrivania, più è importante il personaggio che le siede dietro. Mi chiesi preoccupato quale crimine mi avrebbero imputato, oltre a una legittima, banale accusa di resistenza alla forza pubblica o, al massimo, di comportamento sedizioso.
Davanti alla scrivania, una normale sedia di legno. “Seduto” disse l’omone con una strana voce raschiante. Mi sedetti. La mia scorta si allineò più o meno sull’attenti alle mie spalle.
L’omone, in silenzio, cominciò a fissarmi senza molto interesse. Io guardavo lui. I quattro cristoni guardavano il muro. L’agente seduto al computer guardava, presumibilmente, lo schermo.
Rimanemmo così per qualche minuto. Io sentivo salire la tensione, tutti gli altri sembravano completamente indifferenti.
Finalmente l’omone si raschiò la gola, diede una parvenza di vita al suo sguardo, aprì il faldone e cominciò a trarne dei fogli, allineandoli davanti a sé.
“Dunque” brontolò senza più guardarmi “che abbiamo qui? Iscritto al partito comunista dal 1960, più volte fermato per manifestazioni non autorizzate, un paio di arresti per blocco stradale, un processo per affissione di manifesti… robetta… il progetto di far saltare la stele Mussolini al Foro italico con la dinamite, progetto non realizzato, ma l’intenzione c’era… uno dei caporioni per l’occupazione del Pineto, danneggiamenti a proprietà pubbliche e private… ah, questo è interessante: sfruttando un condono, denuncia il possesso di una pistola automatica tipo luger con relative munizioni… chissà da quanto tempo ce l’avevi… dirigente sindacale cgil… per diversi anni responsabile di un giornale on-line dai contenuti virulenti… collezionista di coltelli a serramanico con lame oltre i cinque centimetri, autore di scritti contro il governo e le autorità, notoriamente ateo… qualche anno di tranquillità poi rispunti come membro attivo di un social-forum, teatro di strada dai contenuti irridenti nei confronti del governo e della chiesa… teatro di strada… direi propaganda sovversiva… un blog pieno di cazzate intellettualoidi… Insomma, tutta robetta da quattro soldi…” Improvvisamente sbatté con violenza la mano sul tavolo “E adesso, che mi stai combinando?” sbraitò.
“Io?” dissi sobbalzando dalla sedia, uscendo dal torpore provocato da quella monotona litania.
“Sì, tu! Invece di diventare più saggio con l’età, adesso mi vai completamente fuori di testa! Addirittura un complotto per assassinare il Presidente del Consiglio!.”
“Ma… commissario…”
“Non sono un commissario!”
“…ispettore?”
“Che fai, sfotti? Non sono un ispettore!”
Cominciavo a incazzarmi. “Chi cazzo sei, allora?”
“Sono un capo dipartimento della Digos, hai presente la Digos? Quella dei reati politici? E tu sei una merda di brigatista!”
Balzai in piedi infuriato. ”Fossi pure il padreterno, non ti permetto di insultarmi!” Mi protesi verso la scrivania puntandogli un dito contro… anzi, cercai di farlo, ma un colpo di maglio mi ributtò indietro. Forse non era proprio un maglio, ma piuttosto le mani pesanti di due dei cristoni sulle mie spalle. Ripiombai sulla sedia.
“Seduto!” Tuonò l’omone “Se ti piace il gioco pesante…”
“Sono seduto” dissi.
“Ma guardati! Vecchio, con la pancia, gli occhiali e scommetto che porti la dentiera…”
“Se dobbiamo scendere ai dettagli personali, brutto scimmione…”
Sbam! Un altro colpo di maglio a tradimento mi buttò quasi giù dalla sedia.
“Dovresti conoscere le regole, alla tua età. Io ti posso insultare… e tu no; io ti do del tu, e tu no; io faccio le domande e tu rispondi…”
“E allora faccia ‘ste domande!”
Improvvisamente mi arrivarono al cervello, attraverso la nebbia che lo avviluppava, quelle strane parole… complotto… assassinio…
“Ma siete tutti matti! Che cazzo vi passa per la testa? Solo per una spintarella a un poliziotto mi volete incastrare co ‘sta storia pazzesca?”
“Ecco, appunto: raccontaci un po’ questa storia.”
“Quale storia?”
Altro colpo sulla scrivania, altro urlaccio.
“La pianti di fare lo stronzo? Ti credi che stiamo giocando? Voglio sapere tutto. Come è cominciato, chi c’è dietro, chi sono i tuoi complici, dove hai nascosto le armi. Prima parli, e prima ce ne andiamo a casa. Io, perlomeno.”
“Ma volete capire che io non so niente di complotti, di armi, di assassini? Avete preso un granchio colossale… o avete sbagliato persona…”
“Ah sì? E se io ti dicessi che ho le prove scritte, nero su bianco, del tuo complotto del cazzo?”
“Direi che qualcuno vi ha preso per il culo… o che è un bugiardo di merda!”
“Vuoi sapere chi mi ha dato le prove? Le vuoi vedere?”
Si protese verso di me ghignando. Prese un foglio dal tavolo e me lo sventolò in faccia.
“Sei tu, sei tu il coglione che ti sei fregato con le tue mani! Sei tu che hai scritto questa roba e te la porti tranquillamente in tasca!”
Riconobbi i fogli che mi avevano trovato in tasca, insieme al portafoglio, al momento dell’arresto. Ma che cazzo ci avevo scritto?
Intanto l’omone continuava a sbraitare: “Berlusconi assassinato, mentre sta a letto con una puttana! Otto delinquenti, nascosti dietro nomi di ministri, che complottano per far sparire il cadavere! E lo schizzo del castello di Tor Crescenza, con una crocetta su una camera da letto! Tutto con la tua calligrafia, nero su bianco come ho detto! E ora prova a negare!”
Finalmente riuscivo a capire qualcosa. Cominciai a ridere, a ridere senza potermi fermare, piegato in due sulla sedia. Le lacrime mi rigavano il viso. “Ma davvero” farfugliai “davvero… ah, ah, davvero avete creduto… no, è troppo divertente… la Digos… i servizi… ah, ah…”
L’omone si sporse sulla scrivania con le braccia protese. I quattro cristoni mi circondarono chinandosi verso di me. Perfino l’agente al computer fece capoccella oltre il video per guardarmi.
“Ma quelli” dissi tirando il fiato “sono appunti per un libro che sto scrivendo!”
Si trattava infatti, amico lettore, del libro che stai ora leggendo e se ti sembra che ci sia una qualche sfasatura temporale ti prego di non tenerne conto. Ricordi quello che dicevo all’inizio sulla sospensione dell’incredulità? Ma riprendiamo il racconto.
“Questo o è matto o ci prende per il culo” disse uno dei cristoni.
“Cencini!” urlò il capo “ contegno!”
Si udirono quattro secchi scrocchi di tacchi che sbattevano sull’attenti.
“E adesso” riprese “ Fuori! Fuori tutti. Anche tu, Rovello.”
“Ma dottore” pigolò l’omino “il verbale…”
“Dopo, dopo. Fuori. E chiudi bene la porta.”
Rimanemmo soli. Non mi sentivo tranquillo. “E se questo energumeno” pensai “per non fare una figuraccia mi suicida e mi fa sparire in una botola?”
Mi guardai intorno. Porte e finestre sbarrate. Nessun oggetto contundente in vista. Aiuto!
L’omone si alzò lentamente, fece il giro della scrivania e si fermò torreggiante proprio davanti a me.
Chiusi gli occhi.
“Fantastico!” disse “una trovata geniale! Un escamotage magistrale. Le faccio i miei complimenti.”
Aprii un occhio, e poi anche l’altro. Lui sorrideva, e la voce non era più il ringhio di un grizzly incazzato ma un piacevole accordo in chiave di baritono. Stranamente, sembrava anche rimpiccolito, quasi ridotto a dimensioni umane.
“Le devo le mie scuse” riprese “per le mie maniere inurbane. Devo stare attento, di questi tempi non posso fidarmi di nessuno, neanche dei miei uomini. Lei capirà, coi soldi o coi ricatti quello arriva dappertutto.”
Lo guardavo a bocca aperta. Se fossi stato in grado di ricordare dove avevo messo le mani mi sarei dato un pizzicotto.
“Io…”
“Non dica niente, dottore. Fra noi non c’è bisogno di spiegazioni. Era ora che qualcuno prendesse l’iniziativa.”
“Ma… veramente… quelli sono proprio appunti per un libro…”
“Certamente, certamente! Per un libro, ah, ah! Non vedo l’ora di leggerlo e spero che sia a lieto fine… lei mi intende…” si passò la mano sulla gola. “Purtroppo non c’è altro da fare. Qua dentro siamo in molti a pensarla così. Vede, noi ci consideriamo servitori dello Stato, e non ci piace proprio per niente fare i servi di una specie di gangster di terza categoria, in un mondo alla rovescia, con le carceri piene di gente per bene e i delinquenti che spadroneggiano al governo… Mi scusi lo sfogo, dottore, lei mi può capire…”
Era diventato matto all’improvviso? Mi prendeva in giro? Era una tattica per farmi confessare? Piano piano cominciai a pensare che la verità fosse proprio quella più impensabile: forse era proprio sincero. Questo mi faceva ancora più paura: come me la sarei cavata quando avrebbe capito che io non ero Bruto e neanche Gaetano Bresci, ma soltanto un comune mortale senza nessuna attitudine per l’eroismo e meno ancora per il sacrificio?
“E quando… No, no, non mi dica niente. Qui anche i muri hanno orecchie. Comunque il castello lo sorvegliamo noi… mi capisce? Da domani ogni giorno è buono. O dovrei dire ogni notte…ah, ah!”
“Ah, ah” risi anche io.

continua ==>

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